LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE 
                       Seconda Sezione Civile 
 
    La Corte, composta dai magistrati: 
        dott. Domenico Paparo, Presidente; 
        dott. Marco Modena, Consigliere Relatore; 
        dott.ssa Simonetta Afeltra, Consigliere. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 176/2013 V.G. promossa da Basile  Anna  Maria  rappresentata  e
difesa dagli  avv.ti  Giovambattista  Ferriolo  e  Ferdinando  Emilio
Abbate ricorrente contro Ministero della  giustizia  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura   Distrettuale   dello   Stato   di   Firenze
resistente; 
    Sciogliendo la riserva, 
    Rilevato che: 
      1)  Basile  Anna  Maria  ha  proposto  opposizione,  ai   sensi
dell'art. 5-ter della legge n. 89 del 2001,  avverso  il  decreto  di
questa Corte, n. 673/13 Cron., nel proc. n.  99/2013  V.G.,  in  data
27.3.2013, depositato il 2.4.2013, che ingiungeva al Ministero  della
giustizia il pagamento di € 1.500,00 oltre accessori a titolo di equa
riparazione per il  ritardo  di  una  precedente  procedura  ex  lege
89/2001, durata complessivamente 7 anni e 10 mesi; 
      2) il decreto impugnato  ha  fatto  applicazione  dell'art.  2,
comma 2-ter, della citata legge n.  89  (introdotto  dal  d.l.  83/12
conv. in L. 134712), secondo cui si considera comunque rispettato  il
termine  ragionevole  se  il  giudizio   viene   definito   in   modo
irrevocabile in un tempo non superiore a  sei  anni,  e  pertanto  ha
liquidato la somma a titolo di equa  riparazione  sulla  base  di  un
periodo di tempo eccedente il termine ragionevole di solo 1 anno e 10
mesi; 
      3) l'opponente contesta tale criterio, in quanto  in  contrasto
con la giurisprudenza, della CEDU (in  particolare  la  decisione  in
causa CE.DI.SA.  Fortore  s.n.c.  Diagnostica  Medica  Chirurgica  c.
Italia 27.9.11) e  della  Corte  di  Cassazione  (in  particolare  le
sentenze nn. 4914/12 e 6824/12), formatasi anteriormente  all'entrata
in vigore del d.l. 83/12, che ravvisava in soli due anni  il  termine
ragionevole per i procedimenti ex lege n. 89; 
      4)  tale   interpretazione,   secondo   l'opponente,   dovrebbe
sopravvivere  alla  "novella"  del  2012,  posto  che  ogni   diversa
interpretazione   contrasterebbe   (oltre   che   con    la    citata
giurisprudenza di legittimita') con l'art. 111 Cost., e col principio
del giusto processo ivi stabilito, per contrasto con l'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali ratificata ai sensi della legge n. 848 del 1955
(in seguito: "Convenzione"); 
      5) pertanto, pur scomputando, ai fini del calcolo della  durata
effettiva del processo, i termini per proporre  l'impugnazione  e  la
riassunzione dopo la cassazione con rinvio, la durata ragionevole del
processo era superata, secondo l'opponente, nella misura di 3 anni  e
11 mesi, e di conseguenza l'indennizzo  doveva  essere  liquidato  in
€ 3.166,66 anziche' nell'importo, liquidato col decreto opposto, di €
1.500,00; 
      6) l'eccezione d'inammissibilita' del ricorso  in  opposizione,
proposta dall'Avvocatura dello  Stato,  non  ha  pregio,  perche'  la
difesa erariale lamenta che l'opponente  non  abbia  provveduto  alla
notifica  alla  controparte  (cioe'   alla   stessa   amministrazione
resistente) del decreto opposto nei termini di cui all'art. 5,  comma
2, della legge n. 89, con la conseguente inefficacia del  decreto,  e
che la successiva notifica (del ricorso in opposizione) sia nulla per
mancata  allegazione  del  ricorso  (ossia  del  ricorso   per   equa
riparazione) ai sensi dell'art. 5 comma 1, essendo  evidente  che  la
difesa del resistente  confonde  gli  oneri  che  deve  assolvere  il
ricorrente che,  soddisfatto  del  provvedimento  richiesto,  intenda
porlo in esecuzione (e che sarebbero, in  astratto,  quelli  invocati
dalla difesa erariale), con quelli che gravano invece sul  ricorrente
che,  non  appagato  da  detto  provvedimento,  intenda  opporlo:  in
quest'ultimo caso, che e' quello  di  specie,  l'opponente  non  deve
affatto notificare alla controparte il decreto ottenuto, e neppure il
ricorso iniziale, su cui tale decreto ha  provveduto,  perche'  cosi'
facendo, ai sensi dell'art.  5  comma  3  della  legge  n.  89,  come
modificata  nel  2012,  renderebbe  improponibile  l'opposizione,   e
presterebbe acquiescenza al decreto; 
      7) nella specie, l'opponente ha invece adempiuto ai soli  oneri
gravanti a suo carico, ossia quelli di depositare (come ha  fatto  il
26.4.13), entro  30  giorni  dalla  comunicazione  del  provvedimento
(avvenuta il 2.4.13), il ricorso  in  opposizione,  e  di  notificare
successivamente, nel termine (del 15.6.13)  indicato  dal  Presidente
col successivo decreto di fissazione di udienza in  data  8.5.13,  il
ricorso in opposizione ed il  pedissequo  decreto  (notifica  che  la
stessa amministrazione resistente dichiara avvenuta il  14.6.13),  di
talche' l'opposizione deve dirsi ritualmente instaurata; 
      8) la legge da applicarsi non  puo'  essere  interpretata  come
chiede l'opponente: il termine complessivo di durata  ragionevole  di
cui al comma 2-ter dell'art. 2 della legge n.  89,  il  cui  rispetto
rende eventualmente irrilevante il superamento dei tempi di  ciascuna
singola fase (di cui all'art. 2, comma 2-bis),  si  applica  ad  ogni
procedimento civile per cui non sia disposto diversamente, e non solo
al giudizio ordinario di cognizione: tanto e' vero  che,  per  alcune
procedure speciali, come quella esecutiva, e quella  concorsuale,  la
legge  ha  previsto  termini  diversi  e  specifici;  l'intento   del
legislatore del 2012 di limitare la discrezionalita' del  giudice,  e
rafforzare la certezza  del  diritto,  fissando  precisi  termini  di
durata, risulterebbe frustrato  se  poi,  in  mancanza  di  qualsiasi
spazio offerto dal testo legislativo, il giudice dovesse  derogare  a
tali  limiti  solo  perche'  contrastanti  con   una   giurisprudenza
formatasi  su  una  normativa  previgente;  ne'  potrebbe  soccorrere
un'interpretazione sistematica, visto che il superamento del  termine
ordinatorio di quattro mesi - peraltro  valevole  solo  per  la  fase
dinanzi alla Corte d'Appello - di cui al previgente art.  3  comma  6
della legge 89, non e' stato ritenuto integrare anche  la  violazione
della "ragionevole durata", ne' comportare, quindi, equa  riparazione
(se non da un isolato precedente - Cass. sent. 8287/2010  -  smentito
dalla  giurisprudenza  successiva,   ossia   dalle   sentenze   sopra
richiamate, e indicate dalla stessa ricorrente); 
      9) risulta pertanto non manifestamente infondata  la  questione
di legittimita' costituzionale, gia' prospettata dalla ricorrente (in
termini che questa Corte intende riformulare,  avvalendosi  dei  suoi
poteri d'ufficio) della normativa  applicabile  al  caso  di  specie;
l'individuazione  del  principio  costituzionale  della  "ragionevole
durata" di cui all'art. 111  secondo  comma  Cost.  non  puo'  essere
infatti avulsa dalla natura del  procedimento  stesso,  e  dalla  sua
"naturale" durata, che dipende in primo luogo dalla  sua  maggiore  o
minore complessita'; in  questo  quadro,  il  procedimento  per  equa
riparazione. e' per sua natura destinato a durare assai  meno  di  un
giudizio ordinario di cognizione, data la semplicita' dei  fatti  che
deve accertare (la durata di un procedimento, e le ragioni della  sua
protrazione, di regola evincibili dalla mera  produzione  degli  atti
processuali), e le finalita' cui tende (indennizzare la violazione di
un diritto fondamentale leso  proprio  da  una  precedente  eccessiva
durata), oltre che per la mancanza di un doppio grado di  merito;  la
previsione di una sua "ragionevole durata" pari a  sei  anni  risulta
pertanto incongrua, e lesiva del  predetto  art.  111  secondo  comma
Cost., oltre che dell'art. 117  primo  comma,  per  violazione  degli
obblighi  internazionali  derivanti  all'Italia  dall'art.  6   della
predetta Convenzione (la cui violazione  comporta  lesione  dell'art.
117 primo comma Cost., come modificato dalla legge costituzionale  n.
3 del 2001, secondo le sentenze della Corte Costituzionale nn. 348  e
349 del 2007 e la successiva giurisprudenza ad  esse  conforme),  che
stabilisce l'analogo principio  del  "tempo  ragionevole",  e  infine
dell'art. 3 primo comma Cost. per uniforme trattamento di  situazioni
diverse; 
      10) a riprova di quanto sopra ipotizzato,  si  osserva  che  il
"diritto vivente"  (uniforme  interpretazione  di  CEDU  e  Corte  di
Cassazione Italiana, come recentemente  consolidatasi)  alla  vigilia
del d.l. 83/12 affermava che la durata ragionevole di un procedimento
ex lege 89 non doveva superare i due anni; e che tale interpretazione
puo'  trarre  conforto  dagli  stessi,   sopra   ricordati,   termini
ordinatori piu' brevi indicati dalla legge per lo  svolgimento  della
procedura (nel senso che, in presenza di tali, piu' ridotti  termini,
difficilmente sarebbe risultato giustificabile un termine ancora piu'
ampio di quello ravvisato dalla giurisprudenza), che oggi,  peraltro,
proprio il d.l. 83/12 conv. nella l. 134, ha  ribadito,  fissando  un
termine ancora piu' breve (trenta giorni) per l'emissione del decreto
nella fase "monitoria" (art. 3 c. 4  legge  89  come  modificata),  e
mantenendo il termine di  quattro  mesi  per  la  eventuale  fase  di
opposizione (art. 5-ter comma 5); 
        11)   ne'   potrebbe   dirsi   irrilevante   un'insufficiente
riparazione ai sensi della legge 89/01, ai  fini  della  lesione  dei
diritti costituzionalmente garantiti sopra  richiamati,  sol  perche'
esiste la possibilita' di ottenere  una  "equa  soddisfazione"  dalla
CEDU, ai sensi dell'art. 41 della Convenzione citata, anche  oltre  i
rimedi apprestati dall'ordinamento interno; e cio' in  quanto  da  un
lato la mancata sanzione (anche se solo  sul  piano  dell'ordinamento
interno) del superamento  della  ragionevole  durata  di  determinati
procedimenti, una volta che sia invece previsto, in via generale, uno
strumento volto ad  indennizzare  tale  superamento,  indebolisce  la
tutela del diritto in relazione a quegli  specifici  procedimenti;  e
comunque perche' la necessita' di adire la CEDU rappresenta un  onere
ben  maggiore  di  quello  rappresentato  dal  ricorso   al   giudice
nazionale, e pertanto la differente tutela (conseguente all'incongrua
equiparazione delle  "durate  ragionevoli"  di  procedimenti  diversi
nella  loro  natura)  integrerebbe   comunque   una   disparita'   di
trattamento irragionevole; 
        12) in  ordine  alla  rilevanza,  si  richiama  quanto  sopra
esposto, ai punti da 2 a 5, e 8, da cui consegue che, ove si  dovesse
ritenere conforme a Costituzione, e  conseguentemente  applicare,  la
normativa  vigente,  l'opposizione  andrebbe   respinta,   risultando
congrua  la  somma  liquidata  col  decreto  opposto  (tra   l'altro,
l'opponente dichiara espressamente di non contestare il  criterio  di
liquidazione stabilito nel decreto  opposto,  ossia  € 750,00  per  i
primi  tre  anni  di  durata  "irragionevole",  e  1.000,00   per   i
successivi: pag. 6 del ricorso in opposizione);  mentre  invece,  ove
fosse  accolta  la  questione  di  legittimita'  costituzionale,  nei
termini sopra prospettati e che si vanno a  precisare  ulteriormente,
l'Opposizione dovrebbe essere accolta, e la misura della  riparazione
dovrebbe essere aumentata; 
      13) la questione deve investire  l'art.  2  comma  2-ter  della
legge n. 89, nella parte in cui  si  applica  anche  ai  procedimenti
previsti dalla stessa legge n. 89, e  dunque  riguardare  il  termine
sessennale complessivo del procedimento, di cui ha fatto applicazione
questa Corte nel decreto opposto; ma va estesa anche  ai  termini  di
cui al comma 2-bis (tre anni per il primo grado, e  un  anno  per  il
giudizio di legittimita': manca nella fattispecie un secondo grado di
merito), che si renderebbero applicabili  in  mancanza  del  predetto
termine complessivo; anche  tali  termini,  che  nel  caso  specifico
sommano  complessivamente  a  quattro  anni,  risulterebbero  infatti
notevolmente superiori al termine complessivo di due anni individuato
dalla citata giurisprudenza come limite di ragionevole durata  di  un
procedimento per equa riparazione;